Scuola

Abilitazione insegnamento: 24 Cfu in bilico, ecco cosa cambia

Il tema del rientro a scuola in piena pandemia ha momentaneamente messo in secondo piano la riforma dell’abilitazione all’insegnamento. In autunno il ministro Bianchi era stato molto prolifico in quanto a novità inerenti il nuovo sistema di reclutamento docenti. Poi la scena è stata inevitabilmente rubata da questioni più urgenti, come i concorsi scuola ancora da attuare (partito solo quello infanzia e primaria, quello secondaria ancora in attesa) e il rientro a scuola dalle vacanze di Natale.

Valorizzare le singole competenze

Bianchi ha sottolineato l’bche consente l’accesso alla professione. Indicazioni di massima sono già state date, ma molti aspetti ancora sono da chiarire. La base di partenza sono le risorse del Pnrr. Ora l’obiettivo è una riforma che consenta l’accesso al ruolo valorizzando la competenza dei singoli senza tralasciare le competenze specifiche.

Il dubbio sui 60 crediti formativi

Il ministero dovrà trovare una formula adatta per sostituire gli insegnamenti disciplinari previsti dagli attuali ordinamenti con altre attività necessarie per rendere le lauree abilitanti. Bianchi ha ipotizzato la possibilità di aggiungere 60 crediti formativi al percorso per le lauree magistrali, che sostituirebbero il requisito dei 24 Cfu attuale. Una sorta di prerequisito che consenta di avere il diritto di sostenere le prove di accesso. Il problema è che tutto ciò non darebbe alcuna garanzia di immissione in ruolo. In questo senso il peso economico potrebbe produrre discriminazioni importanti.

Le perplessità del Cun

Le perplessità suscitate da questa formula derivano anche dal rischio che questo percorso formativo si allungherebbe oltre le lauree magistrali. Con la conseguenza di un’elevata percentuale di rinunce,

Ecco perchè il Cun, nella valutazione e nel parre espresso circa il programma esposto dal ministero, preferirebbe che dopo il superamento delle prove di accesso, ci fosse un percorso per la formazione e il tirocinio nel primo anno, che seguisse l’immissione in ruolo. In questo modo si valorizzerebbe il percorso che porta all’insegnamento e si ridurrebbe il rischio del precariato.