Stipendi precari: ai supplenti mille euro l’anno di arretrati, anche Ata e organico Covid
E’ un diritto dei docenti precari il riconoscimento della RPD (retribuzione professionale docente), ma sono tantissimi i supplenti che non percepiscono il giusto compenso. Alla luce delle sempre più numerose sentenze favorevoli nei confronti di chi fa ricorso, però, da oggi è possibile ottenere ciò che è stato ingiustamente sottratto in passato.
Diritto anche del personale Ata
Ultima in ordine di tempo una sentenza del giudice di Forlì, nei confronti di un insegnante. Che ha diritto al risarcimento e all’immediata applicazione della quota mensile di 174,50, che corrisponde a circa il 10% della paga base. Un diritto anche del personale Ata, al quale si nega il Compenso Individuale Accessorio (CIA): si va da un minimo di 66,90 euro a 73,70 euro al mese, a seconda del profilo professionale Ata.
Cifre mai percepite da questi lavoratori, e che ogni mese lo Stato trattiene senza averne diritto.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, “è ora di finirla con gli stipendi dei precari bloccati e pure ridotti: noi non possiamo rimanere inermi, per questo abbiamo tutelato e continuiamo a tutelare il personale che crede nella giustizia e nell’assegnazione di stipendi equi e dignitosi”.
Rimborsi per 300mila supplenti
In Italia sono almeno 300mila i supplenti che hanno diritto a questo rimborso.
Il giudice del lavoro ha esaminato la richiesta di una docente “che nell’a.s. 2016/2017 ha prestato servizio con sette contratti a tempo determinato, dal 14.11.2016 all’8.6.2017, per 207 giorni”: la docente ha chiesto “di accertare il proprio diritto alla percezione della retribuzione professionale docenti, prevista dall’art. 7 del CCNI del 31.8.1999”, chiedendo la “condanna di controparte al pagamento delle relative differenze retributive, in ragione dei giorni di lavoro effettivamente svolti, quantificabili in € 1.132,29 oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo”. Per il tribunale “la domanda è fondata e si richiamano le motivazioni rese in caso analogo dal Tribunale di Napoli con la sentenza del 21.4.2021”.
Nella sentenza si cita anche “la disparità di trattamento, sotto il profilo retributivo, tra insegnanti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato e dell’evidente contrasto con la normativa comunitaria e precisamente con la clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla dir. 99/70 del Consiglio dell’Unione Europea, come interpretata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in numerose sentenze”.
La sentenza e le motivazioni
La clausola stabilisce al 1° comma che “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”.
Viene inoltre citata la “pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 20015/2018) a cui la Scrivente presta consapevole adesione, secondo cui “le parti collettive nell’attribuire il compenso accessorio “al personale docente ed educativo”, senza differenziazione alcuna, abbiano voluto ricomprendere nella previsione anche tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico previste dalla L. n. 124 del 1999, sicché il successivo richiamo, contenuto nel comma 3 dell’art. 7 del CCNL 15.3.2001, alle “modalità stabilite dall’art. 25 del CCNI del 4 31.8.1999” deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e di corresponsione del trattamento”.