Scuola

24 cfu insegnamento: come saranno utilizzati con la riforma del reclutamento

Continuano a sorgere molti dubbi, da più parti, sull’effettivo miglioramento per la scuola italiana che potrà arrivare dalla riforma del reclutamento scolastico. Inutile negare che la velocità con cui si è arrivati al decreto legge, bypassando una fase di discussione preliminare con sindacati e forze politiche, abbia indispettito e non poco coloro i quali avrebbero voluto partecipare più attivamente alla costruzione di una legge che indirizzerà il destino di migliaia di docenti, attuali e futuri.

Il mancato dialogo

“C’è un ritorno al passato, con l’inserimento di percorsi abilitanti. Io reputo improvvida la cancellazione della formazione iniziale de La Buona Scuola. Si poteva apportare qualche modifica, ma non ripartire da zero”. Lo ha detto Manuela Ghizzoni, responsabile scuola del Partito democratico, intervenuta al talk in diretta su Orizzonte Scuola Tv.

Proprio l’assenza di confronto iniziale, che anticipasse il decreto legge, ha lasciato maggiore insoddisfazione in forze politiche e sindacati: “Avremmo gradito una discussione preliminare più approfondita. Ci occorrerà un’opera di grande intelligenza per pensare il regime transitorio verso il nuovo sistema“, ha aggiunto Ghizzoni.

Il ruolo dei 24 Cfu

Uno degli aspetti più controversi riguarda sicuramente il ruolo dei 24 cfu nella scuola di domani. Una metodologia che è stata rispettata da tanti aspiranti docenti, e che ha comportato l’investimento di danaro e tempo e che adesso sembra essere vanificata dalla cancellazione a favore dei 60 Cfu: “Non vengono mai citati i 24 Cfu. Migliaia di aspiranti docenti hanno conseguito questi 24 Cfu e non si fa mai menzione su come saranno utilizzati. Dobbiamo dare risposte“.

C’è poi il tema della formazione: “Se si vuole investire sulla formazione iniziale dei docenti occorre individuare il percorso giusto. Secondo i migliori studi internazionali questa acquisizione di competenze deve vedere l’alternanza di sapere teorico e di pratica, come aule simulate o un percorso riflessivo dopo il tirocinio. Serve un percorso unitario e coerente“.

La fase transitoria

Infine capitolo riservato alla fase transitoria, ancora tutta da chiarire: “Rispetto alle norme transitorie, prosegue la professoressa universitaria, si genera una proposta un po’ pasticciata, come quella di generare due graduatorie diverse”.

“Io credo si debba immaginare di avere quote riservate di percorsi abilitanti, che lavorano almeno da tre anni nelle scuole statali, paritarie e il sistema di istruzione e formazione professionale“, conclude Manuela Ghizzoni.