Sciopero scuola 6 maggio 2022: weekend lungo con stop alle lezioni di venerdì
Si fermano ancora le lezioni in questo rush finale verso la fine dell’anno scolastico. Lo stop è stato proclamato dai sindacati in segno di protesta nei confronti della tanto contestata riforma del reclutamento docenti che il Ministero ha approvato tramite decreto bypassando un confronto con le parti sociali che adesso contestano metodo e merito.
Le motivazioni dello sciopero
Lo sciopero è stato indetto da Anief per protestare contro la riforma approvata la scorsa settimana dal Governo per cambiare, attraverso il Decreto Pnrr 2, le modalità di accesso, formazione e valutazione degli insegnanti. Dunque le lezioni si fermeranno ancora. La data individuata per la protesta è quella del venerdì 6 maggio. «È un piano di riforma impraticabile che fa acqua da tutte le parti – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – perché non valorizza né la formazione né la professione dell’insegnante. E sul reclutamento possiamo scommettere sin d’ora che la montagna partirà il topolino, con almeno i due terzi dei posti che rimarranno vacanti per via di un meccanismo di stabilizzazione complesso ed estenuante. Ecco perché il 6 maggio manderemo un segnale importante, assieme a tutti i lavoratori della scuola».
70mila immissioni in ruolo difficili da realizzare
Il sindacato dunque non crede che il ministero, con questa riforma, possa riuscire a garantire le 70mila immissioni in ruolo annunciate entro il 2024. Ma le criticità sono molte altre, a cominciare dal fatto che non si garantisce un percorso adeguato per i docenti precari e che in generale l’approdo al ruolo di insegnante diventa, se possibile, ancora più complicato nonostante la promessa di concorsi scuola annuali.
La convinzione del ministro Bianchi
Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, è invece convinto della bontà della riforma e la difende a spada tratta: “La riforma delinea un percorso chiaro per chi vuole diventare insegnante nelle scuole secondarie dopo anni in cui le regole sono cambiate più volte, generando confusione e allontanando molte persone, soprattutto i più giovani dall’insegnamento”.
“Puntiamo sulla formazione iniziale, con i 60 crediti universitari aggiuntivi rispetto alla laurea magistrale necessari per ottenere l’abilitazione e poi il concorso, richiesto sa una norma costituzionale. Aumentiamo il focus sulle competenze specifiche, come quelle pedagogiche, la didattica delle singole discipline e mettiamo una grande attenzione al tirocinio diretto guidato da tutor che vengono dalla scuola”, ha spiegato.