Interpelli scuola: polemica per i criteri di scelta dei dirigenti scolastici, premiato chi ha esperienza statale, penalizzate le assenze
Lo strumento degli interpelli sta lasciando più di un dubbio circa la sua efficacia. Si tratta di uno strumento che prendendo il poso delle domande di messa a disposizione doveva garantire maggiore trasparenza e affidabilità nell’assegnazione delle supplenze. Questa è senz’altro garantita, ma parallelamente si sta assistendo auna certa confusione che certo non fa bene all’assegnazione degli incarichi e all’occupazione tempestiva delle cattedre.
I criteri generali
I criteri generali per scegliere il candidato ideale tra le tante candidature che arrivano alle scuole (molte anche di non docenti cosa che contribuisce a creare caos) danno priorità ad abilitazione per la classe di concorso richiesta o specializzazione per l’insegnamento agli alunni con disabilità. C’è poi da considerare il titolo di studio per l’accesso all’insegnamento.
Queste le indicazioni ministeriali, ma poi alle scuole viene lasciata ampia libertà per i criteri da adottare per scegliere il docente ideale. Orizzonte Scuola ne segnala alcuni che lasciano perplessi.
Alcuni criteri stabiliscono che saranno scartate le domande di chi, anche a titolo legittimo, abbia raggiunto “un monte giornaliero di assenze maggiore del 15% del totale dei giorni del relativo contratto”.
Criteri che fanno discutere
Esclusi quindi quanti sono costretti ad assentarsi per motivi di salute o difficoltà personali e familiari.
Altro criterio dà priorità a chi vive nel comune dove è ubicata la scuola.
Spesso viene assegnato punteggio aggiuntivo a quanti vivono vicino alla scuola dove si dovrà svolgere la supplenza. La precedenza dà diritto a 5 punti e spetta anche a chi vive nella stessa provincia, ma non nello stesso comune (3 punti). Chi vive fuori provincia, ha punteggio pari a zero.
Viene spesso data precedenza a chi ha già lavorato nella stessa scuola, per assicurare la massima continuità didattica. Infine, 10 punti per chi da più di 3 anni ha insegnato in una scuola statale, 7 se da 1 a 3 anni. Niente invece per chi ha insegnato in una scuola non statale, con lo scopo di valorizzare “la continuità e l’esperienza diretta nel sistema educativo pubblico”. Peccato che il “pubblico” dovrebbe comprendere anche le scuole non statali.
Iscriviti al nostro canale Telegram per ricevere tutti gli aggiornamenti sul mondo della scuola.